ACCIDENTI, EMANUELE, È PROPRIO VERO CHE IL DESTINO È CINICO E BARO

Un ricordo di Antonino Emanuele Valere, scrittore, editor, architetto e giovane amico

Michele Marziani
4 min readMay 11, 2020
Nelle immagini, da sinistra e poi dall’alto verso il basso: la copertina della prima edizione di “Dora Sturm”, Emanuele Valere, la copertina de “L’amico dell’ulivo” e un incontro di lavoro a Napoli

Era sempre timoroso di fare baccano, di dire, di chiedere, di esagerare. Spesso parlava quasi sottovoce, faceva domande solo quando era certo di non disturbare.

Nelle poche occasioni in cui abbiamo fatto lunghissime chiacchierate oltre al lavoro — bevendo una birra in piazza Maggiore a Bologna, seduti per terra di fronte a San Petronio o salendo la scalinata del santuario di Oropa — rimanevo sempre stupito del fatto che tu ponessi tanta attenzione alle cose, ai particolari, agli angoli meno frequentati della vita. In fondo, ai miei occhi, eri un uomo, poco più che ragazzo.

Ti ricordo così, negli anni in cui abbiamo lavorato insieme da Antonio Tombolini Editore. Tu eri l’editor di punta della piccola casa editrice dove arrampicandomi sugli specchi tentavo di essere un buon direttore editoriale. Ogni tanto te ne andavi. Ricordo quando ti sei licenziato dalla mattina alla sera, attratto dal lavoro di architetto d’interni, la tua altra grande passione professionale, quella per cui avevi i titoli. Sì perché per fare l’editor non ti sentivi “titolato”, nemmeno esistesse un diploma da editor, ma forse esisterà anche, buono da appendere alle pareti.

Dopo poco però le parole ti hanno di nuovo ordinato di occuparti di loro, di tornare a lavorare nella casa editrice. D’altra parte era impossibile non riassumerti perché se hai la fortuna di avere per le mani uno bravo così, dotato di un talento naturale per empatizzare con le parole degli altri (con le scritture, non con gli autori con i quali a volte andavi, giustamente, in collisione perché alla fine erano meno innamorati di te del loro lavoro), non lo devi mica lasciare andare, anche se può sembrarti un po’ bizzoso in quel suo ondeggiare tra mondi.

Amavi e fuggivi le cose.

Oltre a occuparsi degli scritti di molti autori con un’attenzione ben oltre quello che il mestiere imporrebbe, Emanuele Valere scriveva romanzi, poesie, racconti dei quali era perennemente insoddisfatto, sui quali tornava spesso cercando un’alchimia che li rendesse migliori.

Volevi il firmamento della scrittura, non ti bastava toccare il cielo. Poi ti abbattevi perché eri troppo esigente con te stesso, oltre l’immaginabile. Allora dicevi che non avresti scritto più.

Ma non poteva non farlo, così ritornava perché il richiamo era troppo forte. I suoi libri li vedo introvabili sugli store on line, ma se riuscite ad averlo tra le mani leggete Dora Sturm con quella figura meravigliosa di donna affacciata sul lago di Lugano. Ho ancora addosso la forza di certi passaggi di quel piccolo e prezioso romanzo.

Era affascinato, quasi ossessionato, bruciato da un amore misto a odio per la sua terra, per quella Reggio Calabria che non era solo Calabria, era molto più in giù, più profonda, difficile da raccontare, impossibile da capire se non ci sei nato. Così mi dicevi.

Ci sono due racconti suoi pubblicati in rete sulla rivista IL COLOPHON che facevamo con Antonio Tombolini Editore prima che la casa editrice chiudesse e risolvesse per sempre il dilemma di Emanuele tra il mestiere di editor e quello di architetto, che, a quanto so, lo appassionava con la medesima forza. Due racconti che si possono leggere: E non ho nemmeno un pallone per romperla, quella finestra e Il vecchio, il giudizioso, il losco e il grassone.

Anche ad andarsene, a morire a soli 38 anni, Emanuele, l’ha fatto in silenzio. Da solo, nella Torino che era la città d’adozione nella quale credo si trovasse bene e che certamente amava più di Milano (ricordo quando ti infastidisse venire alle riunioni che per comodità avvenivano nel capoluogo lombardo).

Sei semplicemente scomparso, senza più rispondere a mail e messaggi. Così, interrompendo la vita come si fa con una conversazione.

Di lui, silenzioso, riservato, mai una parola su affetti e parenti, sapevamo troppo poco per capire cosa fosse successo. Con un altro amico abbiamo cominciato ad allarmarci, a domandare, a chiederci dove fosse finito finché dopo due mesi i nostri timori sono diventati realtà.

Che il Grande Spirito — a cui tu non credevi, ma non preoccuparti, neppure io ci sto credendo mentre scrivo — ti conduca con sé in tutti i luoghi dell’animo umano dove non sei riuscito ad andare: per arredarli e per raccontarli.

A noi, agli amici, a chi ha lavorato con te, restano due cose importanti: la fortuna di averti conosciuto e i tuoi libri. Anzi, il contrario: i tuoi libri e la fortuna di averti avuto con amico per un breve tratto di strada. So che avresti preferito così.

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Michele Marziani

Leggo. Scrivo. Viaggio. Narratore, autore di romanzi. Editor. Conduttore di laboratori di narrativa. www.michelemarziani.org