DI ZINGARI, PESCI E ALTRE FACCENDE

Pensieri sparsi intorno alla scrittura e alla cottura della trota selvatica

Michele Marziani
4 min read4 days ago

«Non è un caso che in tutto il mondo siano stati gli zingari a inventare la tecnica di pesca dei signori, quella dei lord inglesi, il fly fishing, la pesca con la mosca artificiale. Altro che nobili origini nell’imitare insetti per catturare pesci. Vecchi nomadi cenciosi che costruiscono simulacri di mosche finte con il pelo di coniglio e le fanno scorrere attaccate a un filo lungo la corrente del fiume. La lenza è un intreccio di crine di cavallo, quello che traina le case su ruote fino all’avvento dell’automobile e della roulotte. Il pesce si lascia ingolosire, sale in superficie, mangia l’insetto fasullo e rimane attaccato al ferro, all’amo celato al suo interno.

Lo zingaro ride mentre tira il pesce in superficie. E i figli dai denti scheggiati e la canottiera logora sanno che quello del padre è un gesto epico. Le braci preannunciano il buon cibo. Perché i pesci, non tutti, ma tanti, sono buoni, leccornie da mangiare, da abbrustolire, arrostire, bollire, affumicare, sfilettare e condire con poco limone…

Lo sanno persino gli orsi del Klondike quanto sono gustosi i pesci. Se lo dimenticano spesso i pescatori d’oggigiorno che seguono una pratica – una moda? – che ha un nome americano, anzi due nomi, catch&release oppure no kill, a scelta. La pesca, dicono, è più sportiva se il pesce torna in acqua là dove l’hai preso. Come se niente fosse. Dopo essere stato penetrato dall’amo, costretto a lottare, trascinato a riva, avere sentito il terrore dell’aria e della morte, gli si dà un bacio e lo si restituisce alla natura.

Il ragazzo si chiede da sempre perché costoro vadano a pesca. La pesca è bellezza. Non crudeltà. Il pesce nutre l’uomo. Il pescatore accorto lo uccide con un colpo secco, per non lasciarlo inutilmente soffrire. Diventerà la sua cena. Oppure può graziarlo, perché c’è anche umanità nel gesto del rilascio. Ma è una scelta del cuore. Il presentare le armi a un avversario sconfitto. Non una norma scritta sul permesso di pesca.

Al contrario, i più ortodossi seguaci del catch&release – cattura e rilascia, prendi e molla, dipende dalla libertà di traduzione – considerano i pescatori che mangiano le loro prede alla pari di qualche selvaggio. Per civilizzare chi si nutre di quello che pesca dispensano consigli curiosi, tipo quello di mangiarsi i pesci degli allevamenti. Fingendo di non sapere, o non sapendo proprio, che le trote nelle vasche spesso vivono peggio dei polli in batteria. Strette in un’acqua putrida, tenute in salute con gli antibiotici, nutrite con mangimi che sono scarti di altre bestie, impossibilitate a nuotare, piene di grasso e tristi di sapore. Che se le mangino loro. Il pescatore arrostisce le prede dell’acqua di sorgente. E se ne infischia della modernità.

Altri, un po’ meno alla moda, fanno ragionamenti più profondi intorno alla pratica del catch&realease. L’inquinamento sta uccidendo i fiumi, presto non ci saranno più pesci, gli ultimi non possiamo permetterci di metterli in padella. Probabilmente è vero, stiamo uccidendo l’acqua, stiamo ammorbando il mondo. Ma se fosse così neppure si dovrebbero pescare questi ultimi abitatori delle acque. Il pescatore potrebbe estinguersi prima dei suoi pesci, appendendo la canna a un chiodo sopra il camino o nella stanza dei ricordi.

Altrimenti è giusto che ci si estingua insieme: perché non sarà certo una trota rilasciata viva in acqua a fermare quell’incredibile follia che ci fa uccidere l’ambiente giorno dopo giorno. Così come non sarà un pesce rosolato sulla griglia a estinguerlo per sempre dalla faccia della terra. Il ragazzo sente dire da quando è diventato pescatore che i fiumi moriranno e il mondo pure. Ma i fiumi, i laghi, i torrenti, nonostante tutto, sono infinitamente più grandi e potenti dell’uomo. Questa è l’unica verità. Ed è una verità che non è scritta. E non si controlla certo con le regole e le norme che a ogni angolo di fiume il pescatore si trova a dovere rispettare».

Tutto questo è scritto nel volume Il pescatore di tempo edito da Ediciclo. Si tratta di una sorta di autobiografia romanzata che intreccia le esperienze personali con riflessioni sulla filosofia della pesca, sulla natura e sul rapporto tra uomo e ambiente.

Il pubblico a cui si rivolge Il pescatore di tempo è probabilmente variegato:

  • Appassionati di pesca: Il libro è ricco di dettagli tecnici, aneddoti e storie legate alla pesca che interesserebbero sicuramente chi pratica questo hobby.
  • Amanti della natura: Le descrizioni dei paesaggi, dei fiumi e dei laghi italiani, così come le riflessioni sulla relazione tra uomo e ambiente, potrebbero attrarre chi ha un interesse per la natura e l’ecologia.
  • Lettori di narrativa: Lo stile narrativo coinvolgente e le storie personali dell’autore rendono il libro piacevole anche per chi apprezza la narrativa in generale, anche senza un interesse specifico per la pesca.
  • Chi è interessato alla cultura italiana: Il libro offre uno spaccato della cultura italiana legata alla pesca, alle tradizioni locali e al rapporto con il territorio.
  • Inoltre, il libro fa parte della collana “Piccola filosofia di viaggio”, il che suggerisce che potrebbe attrarre anche lettori interessati a riflessioni più ampie sul viaggio, sull’avventura e sulla scoperta di sé attraverso esperienze come la pesca.

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Michele Marziani

Leggo. Scrivo. Viaggio. Narratore, autore di romanzi. Editor. Conduttore di laboratori di narrativa. Writing coach. www.michelemarziani.org