LA CENA DEI COSCRITTI

Il primo capitolo del nuovo romanzo di Michele Marziani, uscito per Bottega Errante Edizioni. Una storia di montagna ambientata in un paese immaginario dell’alta Valsesia

Michele Marziani
5 min readMay 13, 2021
Il romanzo “La cena dei coscritti” uscito per Bottega Errante Edizioni

«È chiuso!».
«Sono anni che è chiuso!».
C’è ancora qualcuno che apre la porta dell’osteria attratto dalla luce bassa proveniente dall’interno.
I rompicoglioni non finiscono mai. Per questo lo diciamo all’unisono, al primo tentativo di ingresso: «È chiuso!».
Cioè è chiuso per gli altri, perché adesso l’osteria è casa nostra. Ci veniamo a giocare a carte. A bere. A raccontarci un po’ di storie, visto che dalle nostre parti non si sa mai cosa fare. Almeno dal giorno in cui abbiamo spento la televisione. Cioè, io non l’ho spenta, l’ho solo portata di là, in cucina, dove vive la Mara, che sarebbe poi la titolare dell’osteria. Mia moglie.

Abbiamo chiuso tutto quando ci hanno dato finalmente la pensione: l’osteria e il negozio accanto. Caccia & Pesca, ma in realtà solo cose per pescare. In negozio ci stavo io. L’ho aperto nel 1974, quando avevo trentadue anni e qui era pieno di pescatori, mentre la segheria di mio padre ormai era roba superata. Non ser- viva più l’acqua a tagliare gli alberi. Bastava l’elettricità. In più i mobili, da tempo, avevano cominciato a farli in serie in un sacco di posti in Italia. Poi alla gente non piacevano più i tavoli in legno.

Così dopo il funerale di papà ho trovato da vendere i macchinari e mi sono tenuto i locali. Sono figlio unico. Mamma l’avevo persa tanto tempo prima. Non dovevo rendere conto a nessuno. Ci siamo interrogati con gli occhi io e la Mara, davanti ai locali della segheria.

«Qui ci starebbe proprio bene…» abbiamo detto insieme. «… Una bella osteria» ha completato lei. «… Un negozio di pesca» ho concluso io.

Ci siamo guardati male. Ma eravamo giovani e gli sguardi storti li facevamo durare poco. Abbiamo diviso a metà: a sinistra il negozio, a destra l’osteria.

È stata una scelta furba perché i pescatori di qua acquistavano ami e lenze e di là bevevano e si raccontavano storie. È durata finché è durata la pesca. Poi la gente ha cominciato a smettere. Di ragazzini non ne entravano più. Solo uomini ormai in età. Che poi invecchiavano e morivano. Infine i tuoi coscritti. Li guardavi e scoprivi che anche noi stavamo diventando vecchi.
Di là, all’osteria, non andava meglio. Veniva qualcuno di città col naso all’insù, parlava di cose che non capivamo, voleva formaggi e salumi “tipici”, ma noi avevamo solo quelli di qua. Dicevamo “nostrani” e quelli scuotevano la testa.

Il vino è sempre stato buono, lo è ancora anche se è sempre più difficile trovarlo. Era buono, appunto, ma non era in bottiglia e, quando è cominciata anche quella moda lì, la gente ha iniziato ad andare all’Antica Trattoria, che di antico aveva solo la furbizia di abbindolare i citrulli.

Ogni tanto qualche rappresentante lo diceva alla Mara: cambia insegna, compra i formaggi con i nomi di moda, fai una vetrinetta, esponi due o tre bottiglie giuste e soprattutto smetti di versare il vino nei bicchieri, servilo nei ballon…

Lei rispondeva che di ballon gonfiati in giro ce n’erano fin troppi.

Anche a me cercavano di convertirmi allo sport, al trekking, alle canoe, a mettere in vetrina gli scarponi anziché gli stivali in gomma, ma io sono nato sul fiume. In montagna nemmeno so come ci si va. Cioè sì, so che ci si va quando è il tempo dei funghi, ma allora uso gli scarponi di mio padre che sono ancora quelli salvati dalla guerra. Quelli che aveva quando era nei partigiani. Mica roba da mettere in vetrina.

Quindi, all’ora della pensione, quando è venuto il Remigio dell’associazione dei commercianti a dirci che potevamo ritirarci, abbiamo chiuso tutto e chi si è visto si è visto.

Del negozio non se n’è accorto quasi nessuno.

Mentre per l’osteria continuano a venire, o perché sono un po’ distratti o perché sono dispiaciuti dalla notizia che l’Osteria di Riva Cannobbia non c’è più. E noi qui, a ripetere: «È chiuso!».

Stasera però nessuno si scusa o torna indietro.

Da sotto la luce intravedo una sagoma familiare: è quel coglione di Mario, mio figlio.

Mario vive a Milano dove è andato a fare l’ingegnere e adesso invece di progettare i macchinari li vende in giro per il mondo. Ci va lui perché col titolo di ingegnere fa più figura quando spiega i prodotti ma è poco più che un rappresentante. L’abbiamo fatto studiare per niente. Potevo lasciargli il negozio, lui sì l’avrebbe trasformato con le palline da tennis e le scarpette da torrentismo. Invece è andato in città.
Da lì non torna mai. Si è anche sposato con una secca secca che a cavarle una parola dalla bocca si fa una fatica che non ti dico e quando gliela togli scopri quasi sempre che sarebbe stato meglio lasciargliela lì, in gola. Comunque, senza farla tanto lunga, Mario da queste parti è quasi impossibile vederlo.

Invece stasera è qui, senza neppure avvisare.
«Ciao papà…».
«Ciao Mario» saluto e indico gli altri: «Questo è mio figlio Mario. Lui è Joško, viene dalla Bosnia dove faceva il guardapesca prima della guerra in Jugoslavia. Gino lo conosci. Vuoi unirti a noi? Cercavamo il quarto…».

«Lo sai che non mi piacciono le carte…».
«Nessun problema, continuiamo col morto…».
«…».
«È il gioco, si chiama Tressette col morto…».
«…».
«Mara! È arrivato tuo figlio!».
«Piacere di conoscerti, Mario».
«Piacere mio, signor Giosco…».
«Joško, non Giosco…» lo correggo.
Poi domando: «Lo vuoi un bicchiere di rosso, Mario?». «Sai che non bevo, papà».
Ecco questa poteva evitarmela: «Mara, vieni a portarti via tuo figlio per piacere! Scusatelo» aggiungo guardando gli altri, «non so come mi sia venuto così».

Mario mi guarda storto. Joško ride e ha i denti scheggiati.

Gino comincia a canticchiare: E ora Berto, figlio della lavandaia, compagno di scuola, preferisce imparare a contare sulle antenne dei grilli, non usa mai bolle di sapone per giocare…

«Ma che cosa c’entra, Gino?».

«Niente, era un commento musicale…».

Adesso ridiamo tutti e io verso, ma la caraffa del vino è vuota e allora grido: «Mara! Un litro di rosso per favore!». Non è mica vero che l’osteria è chiusa. Adesso è aperta solo per noi.
La Mara arriva con il vino e lo sbatte sul tavolo.
Poi guarda Mario e comincia a dirgli tutte quelle cose da mamma, che le sembra sciupato e altre corbellerie, ma almeno se lo porta in cucina.

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Michele Marziani

Leggo. Scrivo. Viaggio. Narratore, autore di romanzi. Editor. Conduttore di laboratori di narrativa. www.michelemarziani.org